È Lunedì mentre scrivo, una giornata decisamente estiva. Sembra di essere intrappolati nella cappa raccontata da Siccità di Paolo Virzì: Roma senz’acqua in lotta per sopravvivere al caldo. Non sembra essere una visione così lontana, dopotutto.
Ma Ripley. Thomas Ripley, Tom, from New York.
Serie tv approdata da pochissimo su Netflix, capace sin da subito di rubare il cuore a tanti spettatori e critici. Siamo soliti guardare prodotti audiovisivi tratti o ispirati ai romanzi; anche stavolta: Steven Zaillan, il regista, trae spunto dal romanzo di Patricia Highsmith, The Talented Mr. Ripley. Thriller psicologico pubblicato il 30 novembre 1955. La storia è avvincente, affascinante, perfetta per un racconto cinematografico.
Nel 1956 Studio One, un’antologia in episodi di serie tv ne trasmette la prima trasposizione audiovisiva.
È il 1960, Alain Delon reduce da “Faibles femmes”, film di successo in Francia e primo ad essere visto in America, René Clément gli affida il ruolo di Thomas Ripley accanto a Maurice Ronét, nel film “Purple Noon”.
Ovviamente il lungometraggio del 1999 diretto da Antony Minghella con Matt Damon, Jude Law e Gywneth Paltrow, di cui ho parlato in questa newsletter, vero e proprio film simbolo degli anni duemila.
Ultima trasposizione filmica, dunque è “Ripley” su Netflix.
Per puro amore della cronaca devo dire che l’autrice ha cercato di continuare a raccontare la storia di Tom scrivendo altri quattro romanzi, nel ‘70, nel ‘74, nell’80 e nel ‘91. Chissà che Netflix non abbia già acquistato i diritti.
Gli assidui lettori di questa newsletter sanno bene quanto io sia poco dipendente dalle serie tv, a maggior ragione da quelle targate Netflix. Non perché mi creda idoneo a svilire un colosso della produzione audiovisiva mondiale come N, ma perché ho compreso presto che il suddetto colosso abbia come core business il sostituirsi alla tv generalista, curando maggiormente temi e qualità, ma in soldoni (è proprio il caso di dirlo) l’obiettivo è quello: essere popolare. E la popolarità, secondo me, non fa quasi mai rima con qualità.
Ciononostante, ho guardato Ripley in una settimana. Più o meno tre giorni per otto puntate. Riconosco la mia statistica ridicola per un assiduo spettatore di serie tv, ma fidatevi non siamo di fronte ad un prodotto da binge-watching (letteralmente binge vuol dire abbuffata).
Non crea dipendenza. Può sembrare paradossale, ma è così.
Andiamo, come sempre, con ordine.
Tom Ripley e Dickie Greenleaf possono dirsi personaggi assimilati dagli amanti del genere e di un certo cinema pop, ma di qualità. La mia generazione ha sorriso compiaciuta delle vacanze italiane di questo rampollo della borghesia americana (Dickie) e si è sicuramente innamorata della sua vita.
Steven Zaillan (Schindler’s List, Gangs of New York, The Irishman, Moneyball) è rimasto folgorato dal personaggio di Tom Ripley e dalla trasformazione che subisce nei cinque romanzi dell’autrice, tant’è che ha pensato immediatamente ad una dimensione più ampia del lungometraggio.
Penso che qualsiasi storia possa essere raccontata in due ore ed è stato fatto. È quello che so fare. Durante la mia carriera ho fatto soprattutto film. In questo caso, ho pensato che questo personaggio fosse abbastanza complesso e interessante da poter sostenere puntate per un totale di otto ore. E la cosa mi ha permesso di approfondire aspetti del libro per i quali i film non hanno avuto tempo. Era ovvio che avrebbero tagliato le cose per motivi di tempo, compreso l'ispettore Ravini. Il suo personaggio nei film è reso in maniera piuttosto semplice, direi, ma lo adoro. Adoro il gioco in stile gatto e topo che fa con Tom Ripley. È stato un aspetto che ho adorato approfondire.
Il tempo è un macro-tema. Il tempo da dedicare alla visione. Dicevo non siamo di fronte ad una serie tv da binge-watching, ma piuttosto davanti ad un film lungo otto ore con un proprio tempo.
La scelta del bianco e nero. Le tante inquadrature alla ricerca naturale di un fotogramma prezioso, esteticamente ricercato, mai banale e soprattutto ossessivo. Indole attesa da un serial killer.
E poi la costiera amalfitana degli anni Cinquanta: un sogno per un uomo abituato all’underground newyorkese. Napoli, Roma e Venezia. Il tempo per i dettagli.
La serie è ricca di dettagli preziosi capaci di rapire lo spettatore e fargli vivere il racconto. Gatto Lucio, il profumo, i mocassini, un Picasso, la mont blanc, la macchina fotografica Leica. Il sottotitolo di questa newsletter è un dettaglio, ve ne siete accorti?
Andrew Scott regala allo spettatore un’interpretazione sontuosa, è perfetto per questo ruolo. La sua supponenza e indifferenza al mondo, l’orientamento sessuale poco definito e il suo viso - sintesi di dolcezza e inquietudine – sono elementi fondamentali per un buon Tom Ripley. Ammaliante e truffaldino, magnetico, come una bella foto in bianco e nero, in grado di far riaffiorare alla mente un ricordo nascosto chissà dove.
I dettagli fanno la differenza, tanto nella storia quanto nella produzione del film e ci consegnano il prodotto d’autore – generalista – di cui avevamo bisogno; soltanto alla fine ci si ritroverà seduti e un poco insoddisfatti, perché ci si aspettava qualcosa in più. Ma è un problema di nostre aspettative.
Opposto a Ripley sussiste un magistrale Ispettore Ravini interpretato dal caleidoscopico Maurizio Lombardi. Semplicemente splendido. Ve lo ricordate nel balletto di The Young Pope sull’Orchestrina di Paolo Conte? Io non lo dimentico affatto.
C’è tutto il talento di Caravaggio. Ma non dico oltre, rischio spoiler.
Permettetemi solo un ultimo appunto, un pelo campanilistico. Ripley mi ha ricordato il nostrano Percoco. Nel film diretto da Pierluigi Ferrandini si possono ritrovare dei punti di contatto con questa serie. Altra produzione certo, ma un tratto comune l’ho ritrovato. Attore comune alle due opere è Raffaele Braia, attore pugliese. Amico al quale oggi ho chiesto semplicemente, “com’è stato fare quella scena di Ripley?”
“Esperienza unica con un grande cast, un regista superlativo e una troupe da Oscar.”
È il 2010 e Paolo Conte pubblica un album dal titolo Nelson. Un pastore francese nero volato via due anni prima, cui Conte vuole dedicare questo disco. Nelson non compare in canzone, ma in immagine sulla copertina, sempre opera del cantautore astigiano.
Alla prossima!