È quasi l’alba mentre scrivo. È lunedì mattina. Il vento non mi fa dormire; adesso ha iniziato a piovere e spero che l’acqua lo faccia calare. Niente, non pare d’esserne in grado. Sembra un grido della Natura, il vento. L'inquilino del piano di sopra che sovente manifesta la propria presenza e il proprio diritto all’esistenza.
Non posso correre i miei soliti dieci, dodici chilometri, così rubo minuti al sonno e all’avvio di una settimana di lavoro densa. Mi allenerò stasera.
Anche il documentario che ho visto ieri principia raccontando un evento atmosferico avverso: il terremoto di Napoli del 1980. Il terremoto vero però, protagonista del documentario, è Massimo Troisi; il terremoto, poi, rappresenta anche quella generazione di artisti che hanno lanciato Napoli (e la napoleitanità) come icona. Con la prorompenza di un terremoto, appunto.
Il documentario è Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone. Un documentario nostalgico, dolcissimo e, oggi più che mai, necessario. Ho provato nostalgia per non aver vissuto quegli anni pieni di impegno e profondità. Sono certo abbia provato nostalgia, a guardarsi indietro, Mario Martone. A guardare indietro quel momento, quella porzione di vita. Futurista e stimolante. Ma fintanto che si è vivi si può recuperare; si possono recuperare quegli splendidi film.
La casualità che mi ha portato a vedere questo documentario dopo aver assistito alla presentazione di Un altro ferragosto di Paolo Virzì, al Cinema Troisi sabato sera, si potrebbe definire una curiosa coincidenza o una chiusura del cerchio, a seconda dei punti di vista. Fatto sta che il documentario di Martone si chiude con la proiezione di un film di Troisi proprio nell’arena estiva del cinema romano. La coincidenza è curiosa non già per il ritorno di “Troisi” (ammettendo hic et nunc il mio innamoramento definitivo per lui), ma per l’approfondimento di un tipo di commedia all’italiana. Un terremoto all’italiana.
La commedia si porta dietro il dolore, la tragedia.
Paolo Virzì nel affermare questo, post proiezione, sembra delineare il tratto peculiare del comico di San Giorgio Acremano. Un comico che non abbiamo visto irridere la sua vecchiaia, ma che abbiamo visto poeticamente e goffamente interrogarsi sull’amore. Farne un topos cinematografico. I suoi quarant'anni erano così pieni e interessanti da contarne di più. Terremoto e comicità. Poesia e politica.
Esattamente come Paolo Virzì, baluardo di un certo cinema italiano, un po’ impegnato e un po’ cazzone, ma di sostanza, che lancia messaggi impegnati ad un paese concentrato su altro. E lo fa mescolando il riso al pianto, fintanto che taluni personaggi non si capisce bene se ridano o piangano nei suo film. Così lo spettatore si ritrova pure lui a non sapere se ridere o piangere (di tenerezza o di tragedia); certamente si rivede nella società che viene raccontata. E ride o piange. Appunto.
Questo era Troisi, questo riesce ad essere ancora Virzì. Questo era Ettore Scola. Il Maestro di un certo cinema italiano, non solo per i film, badate, anche per i punti di vista offerti sulla società che si sviluppa, cambia, cresce (forse).
Ettore Scola, altro punto comune fra il regista livornese e quello napoletano. Dolore e commedia. Quanto più ci si pensa tanto più si ritrova una vicinanza con il proprio vissuto e con le proprie vite. Ci si sorprende a ricordare il riso dentro ai momenti tragici. Ci si sorprende a ridere nella tragedia.
Troisi era di più. Troisi era una maschera, un cuore infranto, l’eterno ragazzo innamorato. Perché l’amore è veramente libero e dà un senso alle vite, utilità alla poesia.
La poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve.
Apertamente antifascista, con una sensibilità spiccata e un cuore raro (tant’è che cerca di operarlo per renderlo meno raro e più utile) Massimo Troisi era un regista, un animo sensibile nel ballo dolce della poesia. Quella di Neruda nel Postino, opera ultima in cui figura come attore, ma a dirla tutta era stato l’input, il motore dell’idea filmica.
Martone paragona sagacemete Troisi a Truffaut e confeziona un documentario che è molto più di un film. È una pagina di storia da mandare a memoria per capire cosa è l’arte, cosa è il talento, quanto è importante per la crescita di una società. Per Sorrentino, Troisi è un esploratore dei sentimenti umani con una lentezza che può permettersi solo lui. Può permettersi solo lui i fermi immagine a fine film. Può permettersi solo lui di non essere in campo in una inquadratura e di dare buca al proprio matrimonio. Era sempre lui. Da personaggio. Perfino in Che ora è? di Ettore Scola ritroviamo un Troisi maturato. Come Jean-Pierre Léaud. L’attore feticcio di Truffaut.
Ma perché siete tutti così sinceri con me?
Ridiamo ancora, ridiamo di nuovo. E poi commuoviamoci. Andiamo a fondo: restare in superficie è così svilente.
Per spiegare un’altra amicizia di Massimo Troisi. Dove le parole non bastano arriva la musica.
A domani!